C’è un modo semplice per spiegare l’ESG senza sigle: guardare che cosa resta dopo che spegniamo le luci di un impianto, chi torna a casa dopo un turno, come si decidono le cose importanti. Ambiente, persone, governance sono tre domande in una: che cosa consumiamo, come ci trattiamo, come ci assumiamo responsabilità.
In Sagires la risposta non è un’etichetta verde: è un metodo di lavoro che parte dai fatti e li mette in fila perché siano misurabili, verificabili, raccontabili. Nel Codice Etico questa visione è esplicita: integrare criteri Environmental, Social e Governance nella strategia aziendale e rendicontarli con rigore, dal piano alla pratica, dal dato all’impatto.
Sul fronte ambientale, sostenibilità significa cominciare prima: analisi dei rischi, scelte di design che limitano sprechi e materiali critici, controlli periodici per non accorgersi dei problemi quando è tardi. È l’idea – molto concreta – che prevenire costi meno che riparare, anche per l’ambiente: gestione tracciabile dei rifiuti, conformità agli obblighi, interventi tempestivi se qualcosa non va. Sono procedure, certo; ma prima ancora è un’abitudine a guardare oltre il perimetro dell’oggi.
La dimensione sociale chiede una promessa semplice: nessuno dev’essere messo a rischio per lavorare. Qui la sicurezza non è retorica ma cultura: formazione che non si esaurisce in un’aula, dispositivi adeguati, regole chiare e rispettate, verifica dell’efficacia dei presìdi. E insieme, dignità: pari opportunità, contrasto a ogni discriminazione, attenzione alla qualità dei tempi e degli spazi. Se l’organizzazione funziona, le persone stanno meglio e il lavoro è migliore. È un fatto prima che un principio.
Poi c’è la governance, che per molti suona burocratica e invece è il contrario: è ciò che consente di decidere in fretta senza essere frettolosi. Trasparenza dei conti, tracciabilità delle operazioni, nessuna zona grigia: questo permette di fare scelte informate e difendibili, soprattutto quando il margine di errore è zero. La trasparenza non è un adempimento: è un linguaggio comune tra chi produce valore, chi lo controlla e chi lo usa.
In questo quadro il Bilancio di Sostenibilità non è un opuscolo patinato: è la fotografia periodica delle promesse mantenute e delle distanze da colmare. Numeri, indicatori, trend: la misurabilità toglie spazio al racconto e lo restituisce ai risultati. È anche un modo per farsi giudicare dai fatti e non dalle intenzioni.
La stessa logica vale lungo la filiera. Chiedere ai partner standard chiari – qualità, ambiente, salute e sicurezza, responsabilità sociale – non è un onere scaricato all’esterno: è un investimento di sistema. Se la catena è solida, lo è anche il prodotto finale. E nel nostro settore questo prodotto finale si chiama fiducia: delle strutture sanitarie, degli operatori, dei pazienti.
È qui che l’ESG smette di essere un acronimo e diventa buon senso industriale. Un impianto più efficiente consuma meno e dura di più; un luogo di lavoro sicuro riduce infortuni e fermi; regole chiare accorciano tempi e conflitti. Ambiente, persone, governance non sono tre capitoli separati: sono la stessa storia letta da angolature diverse.
La promessa è semplice: fare bene le cose giuste, tutti i giorni. La differenza la fa la coerenza – e la capacità di mostrarla con i dati.
